INTERVISTA A ODO FIORAVANTI, IL DESIGNER ITALIANO CHE ROMPE LE REGOLE E PLASMA L’ANIMA DEI SUOI OGGETTI

Quando il design scandisce il tempo e regala delle pause: l’arte di Odo

Odo Fioravanti è un industrial designer dal 1998, docente presso università prestigiose come il Politecnico di Milano, l’Università di San Marino, lo IUAV di Treviso, l’Istituto Marangoni, la Scuola Politecnica di Design, la Domus Academy e l’ HEAD Genève. Premiato a livello internazionale con riconoscimenti prestigiosi per i suoi progetti, i quali hanno preso parte a diverse esposizioni internazionali, sino alla candidatura al Design of The Year– Design Museum London – con la sua  Dragonfly chair.  

Lo studio di design di Odo Fioravanti dal 2006 ha sviluppato progetti per diverse compagnie come Abet Laminati, Ballarini, Casamania, COOP, Desalto, Eurochocolate, Flou, Fontana Arte, Foscarini, Gardesa, Guardini, Incotex, Mesa, Normann Copenhagen, Olivetti, Omnidecor, OPOS, Osama, Palomar, Pedrali, Pianca, Pinetti, Pircher, Segis, Telecom Italia, Toshiba, Vibram, Victorinox Swiss Army.

Ha disegnato per Pianca i modelli IntroCora e Seida

Il suo design rompe le regole, irrompe oltre l’immaginazione, scandisce un tempo e regala delle pause.

Cosa significa essere un designer oggi?

“Forse non lo so, nel senso che per come lavoro io l’oggi è uno dei possibili temi, ma non l’unico. Mi interessa più il domani della mia professione e di quello che produco con le aziende. A parte le battute, la professione del designer oggi è cambiata e mi sembra un momento storico in cui c’è la coesistenza di cose molto diverse sotto il cappello “design”. Per me significa occuparsi di riporre un po’ di intelligenza e di giustezza (anche nel senso di onestà intellettuale) nei prodotti. Riportare senso nel mondo della progettazione che sembra ondeggiare in modo schizofrenico tra un glamour privo di idee e alcune forme pseudo artistiche. Non sono “il moralizzatore”, ma neanche uno che pensa vada bene così.”

Quanto è importante l’influenza e la presenza sui social network e sul web oggi per un designer?

“Credo sia fondamentale, specie nell’ era della crisi delle altre forme di divulgazione. Visto che non possiamo fare una serie su Netflix su ogni singolo gesto progettuale, non ci restano che i social: veloci, efficaci e contemporanei. Si comunica con leggerezza e rapidità e la connessione con i siti di acquisto online rende possibile potenzialmente un acquisto d’impulso del prodotto scaturito dal “mi piace”.”

Da cosa deriva il nome “Seida”, la sedia che hai disegnato per Pianca?

“Sembrerà una risposta superficiale ma dipende da un mispelling in una email in cui dialogavo con l’azienda. Scrissi “seida” invece di sedia e a posteriori rileggendolo pensai che sarebbe stato un bel modo per battezzare quel progetto. Infatti si trattava di una rielaborazione dell’idea di sedia in legno più classica e quindi era giusto pensare di rielaborare la stessa parola “sedia”.”

“Intro”, diminutivo di introversa, è il nome che hai scelto per la seconda sedia Pianca che hai disegnato.  A quale bisogno antropologico risponde?

“A quello dell’introversione dei singoli. Mi ha sempre divertito il fatto che le sedie siano stazioni singole ma che si ripetano sempre in gruppi. Un po’ come i villaggi di case in cui ogni casa è una unità richiusa su se stessa. La Intro è proprio così, celebra l’unità e l’introflessione del singolo ma viene sempre avvistata in gruppi!”

“Per ogni persona ci sono cento sedie che aspettano e certe volte aspettano invano”, hai dichiarato in un’intervista rilasciata a Domus. Quanto ha influenzato la tematica dell’attesa nella scelta del creare sempre sedie nuove?

“L’attesa e i tempi morti sono tempi di misurazione del sé. Penso che quando siamo da soli in attesa di qualcosa siamo messi a dura prova e ci confrontiamo con il nostro bilanciamento. Il  bilanciamento interiore quando progetti una sedia prende forma e dopo un po’ ti ritrovi davanti a quello che sei.

Meglio che pagare uno specialista no?”

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